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Recensioni
Le opere di Roberto
Bonafè sono astrazioni di situazioni reali che acquistano
una divisione nuova e misteriosa. Inducono l'osservatore ad indagare
tra chiaroscuri a colori rarefatti, umori e suggestioni sempre
differenti. Sono tele o tavole originali ed affascinanti che
sciolgono ogni struttura formale: una pittura rapida, istintiva che
arriva come une alito di vento. Carica di significati, non ammette
ripensamenti laddove affiorano immaginifici paesaggi
dell’animo (paesaggi immersi in retaggi di lontani ricordi).
I lavori di quest’ultimo periodo, di sapore informale,
attraverso il baluginare di luci, colori, ombre e spazi indefiniti, non
tradiscono mai il lavorio di molti anni di esperienze in campo
figurativo. Attraverso l'uso di materiali e tecniche sperimentali, essi
approdano a una pittura libera e gestuale. La pittura di
Roberto Bonafè è una ricerca continua dove la
materia appare liquida, sfuggente, a tratti materica. Di certo si
avverte un sentire interiore, frutto di un lungo lavoro introspettivo,
in parte casuale ma gestito con rigore, equilibrio tonale e formale.
Nel percorso artistico-creativo di Roberto Bonafè,
osservando i grandi dipinti da lui eseguiti nei primi anni duemila in
vari luoghi di culto, già si intuisce la ricerca attuale e
lo stesso si può dire per la scultura. È membro
dell'associazione culturale “La Frascheta”, di cui
è stato uno dei fondatori e Presidente, collabora con
associazioni e laboratori d'arte del territorio.
Alessandro Lantero
Recensione tratta da "2021.
Artisti italiani, catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea"
BONAFE’ Roberto
Nasce nel
1948 in provincia di Padova ma si trasferisce giovanissimo in provincia
di Alessandria. Legato da una lunga amicizia con
il pittore e scultore Mario Leveni, giovanissimo frequenta il suo
studio e la galleria d’arte “La Lanterna”
di Novi Ligure, diretta dal pittore chiarista Foglia. A diciotto anni
cura le sue prime personali nel teatro dell’asilo Raggio di
Pozzolo Formigaro e nei locali del Comune di Villalvernia.
Sono anni in cui, per la necessità di evolvere e di affinare
la propria conoscenza pittorica, ha contatti con
la scuola d’arte “La Favella” di Milano e
sovente si reca a visitare gallerie d’arte della
città. Le esperienze fatte negli ambienti milanesi lo hanno
spinto all’uso di molte tecniche, alcune delle quali usate
ormai solo nel passato, e a un costante interesse per la ricerca e la
sperimentazione. Da alcuni anni le sue attenzioni sono rivolte anche
alla manipolazione della materia, operando prevalentemente su legno,
metallo, gesso ceramico. Tutto il suo lavoro attuale guarda verso il
futuro, con l’approccio anche a forme d’arte
moderne, meno legate al figurativo tradizionale, seguendo
necessità interiori che lo spingono ad una sperimentazione
continua sia di forme sia di materiali. Dall’esordio, molte
sono state le sue partecipazioni a Collettive, Personali e Fiere
d’Arte. Di lui hanno scritto: Elena
Carrea, Marcus Risso, Fabio Carisio, Mario Deluigi, Gianni Legnaro,
Alessandro Lantero, Carlo Pesce, Dino Molinari, Franco Montaldo, Mike
Yacin, Franco Barella e altri.
...In
tempi più recenti però Bonafé ha
cominciato a produrre una serie di lavori dallo spiccato carattere
astratto, lavori che egli definisce
“sperimentazioni”. Già questa
dichiarazione ci aiuta a capire che ciò che
abbiamo di fronte è una fase, un momento in divenire che nel
tempo potrà assumere connotazioni differenti,
all’interno di un progetto evolutivo del quale il pittore ha
piena coscienza. E’ dunque una pittura di rielaborazione, che
s’incentra sull’osservazione della
realtà filtrandola attraverso il piano
dell’interiorità e riproponendola come un qualcosa
di completamente diverso, una sorta di paesaggio privo di riferimenti
conosciuti che si manifesta sul supporto come esplosione di colori
apparentemente priva di forma. In questi suoi lavori si concentrano
dunque scontri e incontri di pigmenti cromatici e di forme indefinite.
(…)
Il ritmo
che si percepisce è lento e cadenzato, quasi solenne, un
crescendo che sembra cambiare lo spazio in un insieme di suoni e di
rumori. La realtà è per
Bonafé un elemento duttile e sfuggente, fatto non solo di
piani geometrici che riempiono lo spazio e che, teoricamente,
potrebbero essere sempre riprodotti, ma anche di
espressività, che, non
necessariamente ha una corrispondenza riproducibile con quanto vi
è di fisico nell’essere.
Chi, dunque, si cimenta con questo tipo di rappresentazione cozza per
forza con un pregresso enorme, con un numero di
scelte che hanno scandagliato tutte le possibilità e che,
inevitabilmente, inducono a rimandi o
parallelismi.
Bonafè
ha dato però ai suoi lavori un carattere piacevole e leggero
ma nello stesso tempo incisivo. La sua scelta è andata verso
una sorta di astrazione che l’ha condotto a intendere
filosoficamente la realtà cercando di esprimere qualcosadi
esistente sia sotto forma sensibile, sia materiale. In questo modo il
fruitore è costretto dall’artista a
“entrare” negli spazi delle sue creazioni
cromatiche, spazi che brillano di una misteriosa luce interiore. Mark
Rotko diceva che la distanza ideale per guardare i suoi lavori
è di quarantacinque centimetri: così deve
avvenire anche per i lavori astratti di Bonafé.
L’osservatore deve avvicinarsi e farsi catturare dal colore.
Proprio quest’ultimo lo risucchia in un piacevole vortice,
dando vita a un “matrimonio di sensi che se non viene
consumato si giunge all’annullamento”. (Carlo Pesce)
Recensione del critico Carlo
Pesce per il Catalogo "Metamorfosi" (2013):
LA
REALTA' DI ROBERTO BONAFE'.
La fantasia è senz'altro
inferiore alla realtà concreta, ma è meglio del
ricordo.
John Keats
La realtà va inventata.
Alessandro Morandotti
È
sempre sorprendente il lavoro di Roberto Bonafè. Dipingere
è sempre stato un esercizio di enorme
complessità. Eppure questo pittore, autodidatta di grande
talento, riesce a penetrare l'essenza della pittura con una
capacità straordinaria. Se fossimo nel passato, Roberto
Bonafè sarebbe uno di quei maestri minori in grado di
affrontare qualsiasi discorso di bottega, uno di quei maestri le cui
opere troverebbero adesso spazio nelle sale dei nostri musei di arte
antica, contraddistinte dall'accattivante e misteriosa etichetta
recante l'indicazione di "anonimo lombardo".
Ciò
che egli dipinge spazia attraverso i generi più conosciuti
della pittura: dalla natura morta, al paesaggio, al ritratto,
all’astrazione. Credo che Bonafè raggiunga gli
esiti più convincenti nella pittura di paesaggio,
probabilmente perché erede di una tradizione che appartiene
all'humus della terra in cui vive. Sono convinto che questa
peculiarità gli derivi anche dal fatto che sia un notevole
osservatore e che sappia cogliere la poesia di certi momenti,
indissolubile da certi spazi.
Qualcosa di
analogo si manifesta anche nella ritrattistica. Infatti, nei suoi
lavori si coglie in modo molto discreto, quasi sussurrato, qualcosa
della condizione dell'uomo moderno: egli sembra proporre un'idea di un
Eden innocente che si sottrae alle brutture della società
contemporanea, un Eden in cui non esistono violenze e conflitti
laceranti, ma solo amore, fraternità, mitezza, in cui alla
spietata logica della produzione, della cementificazione, del profitto
in genere, si sostituisce la fantasia, la contemplazione incantata del
mondo. Non so se per Bonafè ci sia la reale intenzione di
proporre una regressione a una condizione fuori dal tempo, ma
sicuramente c'è l'idea di creare una barriera - o un fondale
- capace di proteggere se stesso e chi sa osservare da questo punto di
vista i suoi lavori, da forze aggressive, sempre pronte a scalfire la
serenità che traspare dal suo operato.
In tempi
più recenti però Bonafè ha cominciato
a produrre una serie di lavori dallo spiccato carattere astratto,
lavori che egli definisce "sperimentazioni”. Già
questa dichiarazione ci aiuta a capire che ciò che abbiamo
di fronte è una fase, un momento in divenire che nel tempo
potrà assumere connotazioni differenti, all'interno di un
progetto evolutivo del quale il pittore ha piena coscienza.
È dunque una pittura di rielaborazione, che s'incentra
sull'osservazione della realtà filtrandola attraverso il
piano dell'interiorità e riproponendola come un qualcosa di
completamente diverso, una sorta di paesaggio privo di riferimenti
conosciuti che si manifesta sul supporto come esplosione di colori
apparentemente priva di forma. In questi suoi lavori si concentrano
dunque scontri e incontri di pigmenti cromatici e di forme indefinite.
I contatti delle campiture, il movimento caotico cui sottostanno,
sembrano rimandare ai primordi dell'esistente, quando l'universo
cominciava la sua trasformazione. Il ritmo che si percepisce
è lento e cadenzato, quasi solenne, un crescendo che sembra
cambiare lo spazio in un insieme di suoni e di rumori. La
realtà è per Bonafè un elemento
duttile e sfuggente, fatto non solo di piani geometrici che riempiono
lo spazio e che, teoricamente, potrebbero essere sempre riprodotti, ma
anche di espressività, che, non necessariamente ha una
corrispondenza riproducibile con quanto vi è di fisico
nell'essere. Chi, dunque, si cimenta con questo tipo di
rappresentazione cozza per forza con un pregresso enorme, con un numero
di scelte che hanno scandagliato tutte le possibilità e che,
inevitabilmente, inducono a rimandi o parallelismi.
Roberto
Bonafè ha dato però ai suoi lavori un carattere
piacevole e leggero ma nello stesso tempo incisivo. La sua scelta
è andata verso una sorta di astrazione che l'ha condotto a
intendere filosoficamente la realtà cercando di esprime
qualcosa di esistente sia sotto forma sensibile, sia materiale. In
questo modo il fruitore è costretto dall'artista a "entrare"
negli spazi delle sue creazioni cromatiche, spazi che brillano di una
misteriosa luce interiore. Mark Rotko diceva che la distanza ideale per
guardare i suoi lavori è di quarantacinque centimetri: cosi
deve avvenire anche per i lavori astratti di Bonafè.
L'osservatore deve avvicinarsi e farsi catturare dal colore. Proprio
quest'ultimo lo risucchia in un piacevole vortice, dando vita a un
"matrimonio di sensi che se non viene consumato si giunge
all'annullamento".
Carlo Pesce
Recensione del critico Dino
Molinari per il Catalogo "Metamorfosi" (2013):
BONAFE'
PITTORE E LA SUA PITTURA D'ECO FRASCHETANA
Bonafè è
pittore, in quanto la pittura rappresenta il suo migliore modo di
esprimersi. Vive nella pianura distesa e assolata della Frascheta. Ha
casa e studio in località nei pressi di Pozzolo Formigaro,
Bettole, dove dipinge lo spazio e la luce infiniti che accendono la sua
realtà domestica e personale. Paesaggi intensi in ogni
momento delle stagioni definite e sitibonde, persone, case,
vegetazione, oggetti, aurore, meriggi, tramonti, sole a picco, lune
dolci e tenerissime e fragranti.
La Frascheta per me, sicuramente per altri, di certo per l'artista,
è territorio dell'anima, dimensione
fisica/metafisica/patafisica, entità da immolare, immolante
e immolata, inquietudine e turbamento senza pause e confini,
profondamente radicati in animi sensibili e ricettivi. La Frascheta
è origine e traguardo, nascita/vita/morte, tutto un
percorso, rettilineo o circolare, che è deliberatamente da
percorrere, per sentirsi certi di essere realmente vissuti. Provo
l'intensità del viaggio, quasi una sofferenza, uno stato
d'animo che è di identificazione e di sfinimento. Se si
hanno, qui, le radici, non è possibile - almeno per me -
sopravvivere lontani, a distanza, sradicati.
Dunque, il viaggio. Il viaggio è importante, favorevolmente
preparatorio alla lettura e allo studio dei dipinti positivamente
connessi allo spirito del luogo, alla sua essenza. Tale condizione si
pone alla base dell'opera del pittore in entrambi i periodi in cui si
divide la sua attività. In realtà due sono i
momenti più salienti del lavoro di Bonafé.
In un primo tempo la sua pittura è decisamente figurativa,
molto legata e ispirata alla realtà più visibile
e tangibile, diciamo naturalista, realizza paesaggi, ritratti, nature
morte - case, vegetazione, oggetti, immagini che riflettono il medium
in cui vive.
In epoca successiva, le sue opere diventano più astratte,
svincolate, anche se è pur sempre avvertibile lo spunto
iniziale realistico/naturalista. L'immagine indubbiamente è
più sfatta, disarticolata, fino a collocarsi in un percorso
di tipo informale, non gestuale e impulsivo, ma ancora controllato e
trattenuto, se pure già risolto in schemi di frantumazione,
di strutture con più libera e - se vogliamo - di
più musicale organizzazione.
Prosegue in una sua idea di discorso non rigorosamente articolato su
una linea che si misura col reale, ma che sovverte la realtà
stessa in schemi che obbediscano a una loro logica interiore di
autosufficienza e di autoregolamentazione. Più che a
strutture geometrizzanti misurate sul reale, insegue un concetto quasi
di musicalità, diffusa ma semiologicamente organizzata.
Per chiudere mi pare illuminante una citazione da Franco Barella -
"Conoscete Roberto Bonafé?": "Apparentemente legato a una
riproduzione fedele delle immagini recepite, ne supera l'iconografia
figurativa imprimendo nelle sue composizioni ritmi di ricerca
supportati da spunti di fantasia, che ci inducono ad un giudizio di
modernità insospettato al primo incontro".
Dino Molinari
Recensione del critico Carlo
Pesce in occasione della mostra a Palazzo Guidobono (Tortona):
LA
SEMPLICITÀ DEL PAESAGGIO.
…Lontano
lontano lontano
Si
sente suonare un campano…
Giovanni
Pascoli, la Servetta di Monte
Un percorso da autodidatta, quello
di Roberto Bonafé, un percorso affrontato con
l’umiltà di chi sa mettersi in discussione, di chi
si colloca su un perenne piano di approfondimento e di confronto con
gli altri. Dalla sua pittura emerge una passione sincera, un amore per
il colore, per la luce e per l’indagine realistica del
quotidiano che lo circonda. È una pittura rispettosa, che
osserva l’universo di cui fa parte con la serenità
francescana della piena coscienza del sapere di essere infinitesima
porzione di esso.
La sua pittura è
caratterizzata da un consapevole rifluire verso un’aura
artistica rarefatta, chiusa in una visione di equilibrio
classicheggiante o di sospesa arcaicità.
L’esperienza di Bonafé è indirizzata
verso un rapporto vivace e dinamico di esplorazionerealistica, che
addirittura lo conduce a sperimentare tecniche e situazioni che lo
portano a affrontare anche quegli elementi astratto/materici che
caratterizzano l’ultimissima sua produzione. Ciò
pone la sua esperienza su una posizione simile a quella di altri
artisti, però con un atteggiamento costruttivo, creato sulla
base di argomenti abbastanza evidenti. Egli riprende gli elementi
tradizionali del fare pittura, con una visione più aperta,
più attenta alla citazione colta, legata a una
genuinità che sembra lontana da qualsiasi implicazione
ideologica.
Per comprendere questo discorso
è sufficiente osservare con una certa attenzione un brano di
paesaggio di Bonafé: colori freschi, luce chiara, azzurro
tenero del cielo, tappeti vedi distesi su terreni appena mossi. Un
tappeto uniforme, delimitato nel fondo da una quinta di alberi e di
colline che la lontananza tinge di viola e di azzurro. È un
paesaggio carico di motivi pittoreschi, semplice, ma di una
semplicità tanto colma di sensibilità da poter
registrare la lenta corsa della giornata, il vibrare della brezza sui
rami ancora spogli. Un’attenzione non priva di quelle
intuizioni da permettere di notare delle leggere depressioni del
terreno. Il protagonista di queste pitture è lo spazio, reso
concreto da un chiarore quieto che attenua le ombre, scandito e
misurato dai filari degli alberi, sereno, silenzioso, profondo, ma non
immenso, non vuoto. Questo spazio è orlato da colline
morbide, pochi segni scuri in primo piano invitano a condividerlo, a
viverlo, a esplorarlo, in attesa di un lento, quanto inevitabile
cambiamento. Sappiamo che poco più in là ci
aspettano i segni della presenza umana. Sappiamo che in questi spazi
verrà l’estate, e poi l’inverno, che la
vita si trasformerà, si popolerà di persone, le
stesse che vivono nei ritratti di Bonafé, bambini che si
apprestano a partecipare alla vita, a testimoniare i cambiamenti, a
reinventare quei segni e quei colori che diventeranno più
facili, anche per noi, a essere compresi, a goderli e a parteciparli
più pienamente.
In quanto al luogo preciso della
pittura raffigurata nei dipinti, non importa molto, nonostante siano
luoghi concreti (lo dimostrano i profili delle colline, le alture che
individuano le valli del novese), perché la raffigurazione
è solo un pretesto per rivelare sentimenti: il sentimento di
uno spazio sfuggente e nello stesso tempo razionale, in cui non
è possibile smarrirsi. È il sentimento di
un’esplosione di luci, in cui non c’è
niente di definito e neanche di effimero: come nella vita che si
rinnova ciclicamente, mutevole ma anche eterna, sempre diversa e sempre
uguale, come un meccanismo pronto a accettare un’unica
variante poetica. È il pretesto per creare
un’immagine astratto/materica priva di tempo, in cui lo
spazio è colore, è un insieme apparentemente
disordinato di sensazioni psichedeliche che altro non sono che
un’evoluzione di ciò che Bonafé ha da
sempre prodotto. La sua elaborazione formale diventa allora
così ricca in termini di pigmenti e di luci che non
può che essere derivata dalle esperienze
dell’Impressionismo. Ma la sua trascrizione pittorica,
abbreviata, consapevolmente dimessa e semplificata, è frutto
anche di conoscenze diverse e più moderne, quelle di anni in
cui è prevalso il gusto per una ricerca soggettiva di libera
sperimentazione della realtà e del sentimento.
Roberto Bonafé ricava
immagini affascinanti per illusione di verità, spesso chiuse
in una sorta di scolastica meditazione. Riesce a conseguire stesure di
colore piacevoli, ottenute con una certa disinvoltura formale. Sono
epifanie di luci mutevoli, che procedono attraverso un continuo lavoro
sulla pittura oltre che sulla natura. La superfici delle sue tele sono
fresche, rese tali attraverso strisciate di colore serico, con
contrasti, segni veloci e leggeri, grumi luminosi che si affossano e si
compenetrano.
Carlo Pesce
Roberto Bonafé
Disegni, pitture e sculture
Roberto Bonafé si
pone nella produzione odierna come continuatore, o meglio, esponente di
una formula pittorica per così dire impressionista, alla
quale conferisce una originale impronta personale. Appare palese nelle
opere di Bonafé la genuinità del discorso
creativo, l’impulso dell’artista a liberarsi di
regole e scuole severe, che spesso limitano la naturalezza e la
libertà dell’atto creativo, il modo di sentire la
pittura come comunicazione istintiva, tale da venire recepita dal
pubblico mediante una intuitiva sensazione emotiva che nulla ha a che
fare con le artificiose trappole celebrali. L’artista osserva
semplicemente come è la vita che cade sotto gli occhi di
ognuno, senza schermi, con assoluta sincerità;
l’afferra con occhiata rapida e sicura e la riporta sulla
tela in maniera realista, accendendo il suo naturalismo di tensione
impressionista. Nascono così i
“paesaggi” di Bonafé, le sue nature
morte, le figure umane, temi fondamentali del suo discorso pittorico.
Le figure e i volti sono semplici e silenziosi ma profondamente
incisivi. Potremmo dire che qui la pittura di Bonafé si fa
di pensiero. Non vi è solo abilità di mano, gusto
dell’illustrazione; vi è anche la segreta
attività dello spirito, la rivelazione pittorica di un
sentire e di un vedere che sono solo suoi.
Egli rileva
intuitivamente gli atteggiamenti della psiche, anziché i
soli aspetti del volto e gli atteggiamenti delle persone,
l’eterno dualismo cioè tra ciò che si
appare e ciò che si è, e ancora la fatica di
vivere, di essere autenticamente uomini. Scaturisce da tutto questo un
pessimismo che definiremmo, alla maniera leopardiana,
“cosmico” ma che si riscatta nella fiducia
dell’artista nelle più intime
possibilità dell’uomo. A loro volta i paesaggi,
resi con pennellata sciolta e fluida, colpiscono per i giochi di luce,
per i mutamenti di colore contenuti in brevissimi spazi di tela
all’interno di uno stesso soggetto e anche per la forma che,
vista da un’ottica distanziata, si presenta nel suo aspetto
di massa; tralascia cioè il particolare a beneficio
dell’essenziale.
Sono
paesaggi permeati di malinconia, di nostalgia, discreti e fugaci, che
trasmettono ciò che l’autore sente
nell’intimo e rivelano l’istintiva
capacità di Bonafé di illuminare di mutevoli luci
il quadro, di fermare nelle sue tele un solo e irripetibile attimo
della realtà luminosa e cromatica.
Mike Yacin
Personale
di Roberto Bonafé
La
composizione rigorosa, l’equilibrio cromatico dato dal
contrasto simultaneo di piccole complementari, la profondità
tonale dei vari piani atmosferici e il cromatismo luminoso delle
superfici rendono i suoi paesaggi una ricerca voluta di sintesi
strutturale delle componenti percettive.
Il
ritratto diventa quindi una trasposizione di elementi riconoscibili
nella natura fisica e psichica della persona, nella quale si ritrova
l’individualità costruita sulle manifestazioni
passate e la promessa del suo futuro potere espressivo.
Mike Yacin
I
lavori di Roberto Bonafé sono per la maggior parte
ambientati al sole, alle intemperie: insomma all’aria aperta.
Il suo pennello ritrae
la libertà dunque, ma con l’attenta ricerca delle
forme, la scelta ponderata del colore; la conoscenza della materia
trattata, sono il suo segreto per la realizzazione di lavori dalla
forte impronta impressionistica, letta negli scorci di campagna, nei
campi con papaveri, nei volti dei contadini, ecc…
Il
sentimento, di questo artista, si sviluppa attraverso una spiccata
passione per l’arte figurativa, amplia il suo spazio vitale,
per offrire all’osservatore – non si dimentichi che
è destinato all’osservatore il lavoro del pittore
– la migliore realtà, ispirata alla natura, viva,
reale, concreta.
Franco Montaldo
Bonafé:
la campagna e i tramonti
E’
un tramonto porpora, malinconico, magnifico ed esistenziale sulle
campagne della nostra pianura. Le cascine e alcune case sono immobili
nell’ombra, le prime luci alle finestre richiamano la lenta e
serena pace delle cene e delle famiglie contadine che abitano la natura
e che, tali e quali da millenni, sono perfettamente in sintonia con
l’ambiente, con la vita e con il destino. Le persone sono
strette nel conforto della famiglia, al riparo delle case e dei
focolari, nell’abbraccio delle relazioni sociali di un
piccolo paese che, con le sue case che insediano l’immenso
paesaggio come tende di pionieri, vuole sopravvivere al suo
“essere-gettato” nel mondo e alla sfida della morte
che viene evocata simbolicamente dalla notte e celebrata dal rituale
emotivo del tramonto. Roberto Bonafé, uno dei migliori
artisti della nostra zona, dipinge così, con
rappresentazioni di una bellezza e di un’intensità
emotiva notevoli. Si tratta di un artista vero, ispirato, di quelli di
cui il contributo è essenziale, di quelli che hanno sempre
saputo chi sono, che non si svestono dei propri panni, che proseguono
la propria strada come una ricerca. Bonafé non pretende di
rivelare intuizioni travolgenti, non è interessato al mito
wagneriano e romantico dell’artista genio che demiurgicamente
pretende di rivelare verità inaudite. Per lui è a
lungo andare più proficua la ricerca, la faticosa e
giornaliera scoperta di piccole verità che col tempo si
sommano e danno un contributo solido e corposo alla conoscenza. Come
Cezanne e Pissarro. Il Pissarro dell’impressionismo che
Bonafé ama in modo particolare ma a cui non si ispira
eccessivamente perché è chiaro che il nostro ha
la stoffa dell’artista che si ispira da sé, che ha
fin troppo da dire di suo e cui gli spunti interessano in modo
relativo.
Rimbaud sosteneva che
generalmente ai poeti interessa leggere le opere degli altri, ma non ai
grandi poeti. Roberto Bonafé ha
un’attività intensa, anche la sua partecipazione
alle mostre è notevole, tuttavia la produzione è
sempre legata all’ispirazione ed è ritmata dai
momenti di maggiore creatività. Le sue opere sono incentrate
sui paesaggi nostrani, sulla ricerca delle atmosfere. Ama i cieli blu
turbinanti di nubi e di vento, ama i crepuscoli, i colori
più suggestivi dei nostri paesi. Se la dissennata politica
urbanistica e lo scempio architettonico che hanno colpito le nostre
zone negli ultimi anni sono riusciti a celarci l’originaria
bellezza dei borghi, lui va a cercare i luoghi dove la bellezza
è ancora intatta, dove è manifesta la naturale
capacità dei nostri avi di costruire abitazioni splendide e
in sorprendente armonia con il contesto paesistico. Pensate alla
rocciosa e alpestre bellezza di Voltaggio, pensate ai rossi intensi e
agli aranci un po’ malinconici di Campo Ligure, che
riflettono le stupende cromie del sole in Valle Stura.
Bonafé rappresenta tutto ciò con una tecnica ad
olio eccelsa, che si è impegnato a trasmettere agli allievi
dell’associazione “Laboratori
d’Arte” di Novi Ligure nei mesi scorsi. Si
inserisce nella fondamentale tradizione dei pittori locali che amano i
soggetti e i paesaggi tradizionali della nostra zona ma, con la sua
straordinaria capacità di indurre nello spettatore forti
sentimenti e, contemporaneamente, un senso di grande
serenità, riesce ad essere un artista unico ed originale.
Avere un suo quadro a casa propria costituisce una grande fortuna.
Marcus Risso
Franco Barella
incontra gli artisti di casa nostra
Conoscete
Roberto Bonafé?
Apparentemente legato a una
riproduzione fedele delle immagini recepite, ne supera
l’iconografia figurativa imprimendo nelle sue composizioni
ritmi di ricerca supportati da spunti di fantasia, che ci inducono ad
un giudizio di modernità insospettato al primo incontro. Una
fantasia che gli consente di scoprire in contorte radici sembianze di
donne, delfini, teste equine, combattimenti e come tali, scoprendoli,
riuscire a riproporceli.
Ama la sua, la nostra,
terra, le sue valli attorno, i suoi paesaggi degradanti appena
delineati dalle colline, i suoi campi arati dormienti nella neve o
sommersi nelle fioriture primaverili, gli ultimi gelsi fraschetani al
tramonto avvolti nelle prime brume autunnali. Sottende accese campiture
rese composte da un dosaggio attento di colori, di tenerezze che
trasporta e confronta con i severi monti del Trentino dove si rifugia
per un riposo, forse anche rigenerativo della vena pittorica.
Confronta, ma non confonde, la poesia delle nostre terre di cui annota
le modulazioni tonali, mentre rimarca gli echi profondi, ricchi di
antiche favole e leggende, fra imperiosi castelli e austere cime
alpine. Indaga tempi e temperie cercando di fissare un momento che
repentinamente sfuggirà per modificarsi, rinnovarsi e
divenire irripetibile. Con lo stesso intento conduce la ricerca sulla
figura. Cerca di cogliere l’impulsivo gesto di tenerezza del
nonno che custodisce la nipotina. Avverte e fissa lo stupore del
pastore, anche un po’ intimorito, che non comprende, non si
spiega il perché lo stiano ritraendo. Nel tenero sogno di
mondi festosi e felici dell’adolescente, immagina e accenna
all’ombra appena avvertita, proiettata dal contatto con la
realtà.
Questi momenti che
Bonafé riesce a cogliere, memorizzare, rivivere e riprodurre
nelle sue tele, sono gli stessi che imprime allorché coglie
il taglio che la luce dà alle geometrie dei manufatti
dell’uomo. Non saprei dire se li ama o li ritiene intrusioni
nella natura, ma non li trascura, né li lascia freddamente
staccati. Forse perché sono rifugio, tane
dell’uomo che cura la sua terra, forse perché sono
utili arcate sinuose che accompagnano il percorso del torrente senza
ostacolarlo, ne dà un’immagine amica, segnata da
luci solari o morbide, per inserirle in armonia quale elemento sia pur
estraneo, ma non avverso, nel verde, nelle brume, nello spazio della
natura.
Franco Barella
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Prossimamente
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Da vedere
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